Prefazione alla raccolta di Antonella Tissot, Cha no yu e fiori sdraiati sul tatami, Roccafranca, La Compagnia della Stampa Massetti Rodella Editori, 2016, pp. 88, Euro 12,00.
Cha no yu di Antonella Tissot è il risultato tanto di un processo linguistico semplice e lineare quanto di uno studio attento delle origini e dei valori estetici fondamentali dello haiku. La suddivisione dell’opera in quattro Sezioni – una per ciascuna stagione – non vuole rappresentare una mera classificazione formale degli eventi, quanto piuttosto quel cammino circolare di ricerca che, partendo dall’individuo-poeta (Io haijin 俳人), torna a quest’ultimo arricchito di quella verità poetica che costituisce, in ultima istanza, la cifra più significativa di questo genere. Si tratta, naturalmente, del fūryū 風流, termine mutuato dalla tradizione artistica cinese che incarna, appunto, un vero e proprio “percorso” di scoperta e maturazione, sia poetica che personale. Scrive Bashō:
C’è un elemento comune che attraversa la poesia di Saigyō, la renga di Sōgi, la pittura di Sesshū e la cerimonia del tè di Rikyū. È lo spirito poetico o fūryū: seguire la creazione, divenire amico delle stagioni (Nihon koten bungaku taikei 日本古典文学大系, trad. Origlia).
Leggendo i versi della Tissot, è così possibile fare esperienza di quell’allontanamento dai mondano (rizoku 俚俗) che è preludio ineludibile per il conseguimento di una verità poetica (makoto 誠, ossia, letteralmente, “parola vera”) inedita e assolutamente non preconcetta, come testimoniato dal seguente componimento:
è primavera –
pressione di radici
che germogliano
Il legame attento e mai equivoco con il qui e ora, permette all’autrice di muoversi con agio nella dimensione del tanbi 耽美 (l”‘immersione estetica”), consentendole così di far propri i valori guida del sabi 寂 (la sobrietà), del wabi 侘 (la solitudine melanconica), del mono no aware 物の哀れ (il lasciarsi “attraversare” dalle cose del mondo) e dello yūgen 幽玄 (“profondità e mistero”), ma anche – e soprattutto – di avvicinarsi a quella dimensione naturale (shizen 自然) dove ogni contrasto è ricondotto ad unità grazie alla forza vivificatrice del kikan 季感 ossia quel processo di unificazione tra uomo e realtà naturale che consegue all’esperienza haiku.
Kuki Shūzō ci ricorda come nel fūryū debbano lavorare circolarmente «una separazione dal mondo che è morale e distruttiva e un’immersione estetica che è costruttiva e artistica» (Fūryū ni kan-suru ikko satsu 風流に関する一考察, trad. Marinucci).
Prendendo le mosse da questa considerazione ed approfondendo lo studio delle tecniche e dei principi propri della cerimonia del tè o cha no yu 茶の湯, la Tissot ha originato uno stile poetico lucido e inedito, seppur intimamente legato alla tradizione dei grandi Maestri, in particolare Matsuo Bashō e Kobayashi Issa.
Così, il wabi, che in sé esprime una bellezza calma e austera, da assaporare nella quiete solitaria, manifesta in questo libro anche quella componente visiva (l'”imperfezione intenzionale”, come viene chiamata dal Tollini) che esalta l’irregolarità e la sobrietà delle forme, ciò che è sbiadito, soffuso o indistinto rispetto a ciò che è chiaro, regolare e ben definito:
prati di nebbia –
all’alba svaniscono
soffici nubi
Il rispetto dello schema tradizionale occidentale di diciassette sillabe e tre versi – unitamente alla presenza di un riferimento stagionale (kigo 季語/kidai 季題) e ad uno stacco (kire 切れ) quasi sempre volto a produrre un ribaltamento semantico – formalizza un approccio “classico” alla forma haiku, laddove le immagini presentate lasciano trasparire una delicatezza (shiori しをり) ed una sottigliezza (hosomi 細身) altrettanto ferme nel ribadire un “debito poetico” nei confronti dei canoni sei-settecenteschi, ed escludendo in toto derive gendai 現代.
In conclusione, Cha no yu e fiori sdraiati sul tatami si inserisce consapevolmente e con originalità nel panorama haiku italiano, proponendo al lettore un percorso inedito di riscoperta ed approfondimento di valori estetici antichi, eppure irriducibilmente attuali. La nota critica di Eufemia Griffo e il testo sulla chashitsu 茶室 in chiusura d’opera, contribuiscono infine a legare sapientemente due forme artistiche (lo haiku appunto e la cerimonia del tè) che condividono la stessa matrice espressiva: lo yohaku 余白 o “dimensione vuota”.