Recensione della raccolta La carezza del vento di Maria Laura Valente, Associazione Culturale “Luna Nera”, 2018, pp. 80, Euro 12,00.
La carezza del vento rappresenta la silloge d’esordio di Maria Laura Valente, haijin di talento già piuttosto nota nel panorama haiku internazionale, che con questo lavoro ha inteso raccogliere cinquanta dei suoi più significativi componimenti, accompagnando ciascuno a quattro traduzioni in lingua straniera: giapponese, inglese, francese e russo.
Da un punto di vista stilistico, le opere presentano nella maggior parte dei casi due immagini distinte, separate da una cesura segnica (la lineetta “–“), con il primo ku 句 che occupa il rigo di apertura, proponendo un’associazione armonizzante o un ribaltamento prospettico nei due versi finali:
orfanotrofio –
la carezza del vento
sulle ginestre
La giustapposizione (toriawase 取り合わせ) apre così la lettura e l’interpretazione ad un sillogismo limpido e credibile, laddove il poeta, lungi dal voler imporre una data direzione all’esperienza che inevitabilmente fluisce dal dettato poetico, ne esalta all’opposto l’imprevedibilità, enfatizzando ogni più semplice aspetto del quotidiano con sorprendente leggerezza (karumi 軽み).
Non mancano, peraltro, scritti redatti secondo la tecnica dell’ichibutsu jitate 一物仕立て (haiku ad una singola immagine); tecnica complessa e “rischiosa”, ma con la quale, anche in questo caso, l’autrice riesce a dar vita a scene originali e coinvolgenti:
dopo la pioggia
con più grazie risplende
una camelia
Pur preservando una semplicità e immediatezza di dettato, è facile riscontrare, dietro ad ogni singolo componimento, un soppesare attento di termini ed espressioni da parte della Valente, la quale (come da titolo) ci dà l’impressione di soffermarsi su ogni accadimento come una lieve brezza d’estate e per la sola durata di un respiro (che è poi la durata esatta di uno haiku), senza adulterarlo o contaminarlo, ma anzi esaltandone l’unicità con il riguardo di un ospite cortese, svincolandosi dal centro della scena (ba 場) per divenire un tutt’uno con essa e per dimostrare come il lasciarsi “attraversare” dalle cose del mondo (mono no aware 物の哀れ) sia la strada privilegiata da percorrere per cogliere appieno il significato di questo genere poetico.
Il computo sillabico oscilla tra il metrico e l’ortografico, mentre il registro espressivo pare decisamente pulito, convincente e non ridondante, preservando quelle «architetture intelligenti e sensibili» di cui parla Lorenzo Marinucci nella sua nota introduttiva; una circonferenza nella quale si inscrive uno spirito stagionale (kikan 季感) mai banale o ripetitivo, grazie alla presenza di un riferimento stagionale che rimanda ad un vissuto condivisibile e universale, se non addirittura “necessario”:
ciliegi in fiore –
anche il tempo si ferma
a contemplarli
Riassumendo, La carezza del vento rappresenta davvero una ventata inattesa ma irrinunciabile nell’attuale panorama poetico, non solo italiano; un libretto che anziché esaurire la propria novità una volta letto, acquisisce paradossalmente maggior valore, giacché impreziosito dall’esperienza che di esso ne ha fatto il lettore, in un processo circolare che affianca costruzioni originali ad «interpretazioni nuove ed inaspettate delle immagini classiche» (Andrea Cecon) e aprendo l’esperienza estetica dello haiku (tanbi 耽美) a nuovi modi di vedere la realtà che ci circonda, senza derive individualistiche e senza preconcetti, giacché «non c’è tempo e non c’è spazio per riflessioni, giudizi o sentimenti personali […]. Vi è solo il fervido oggetto che chiama a sé, con quel suo straordinario potere di echeggiare nella mente del lettore» (K. Yasuda, Japanese Haiku, 2011).
Una risposta a “Come brezza d’estate”