Recensione della silloge Haiku italiani di Luigi Oldani, Samuele Editore, 2016, pp. 52, Euro 9,00.
Haiku italiani è una piccola ma significativa raccolta di Luigi Oldani che esplora, con inedita lucidità e freschezza, i più reconditi movimenti dell’individuo-poeta in quella dimensione vuota propria, appunto, del genere haiku. Gli stati d’animo e le esperienze personali del poeta si legano, così, con credibilità a un tessuto naturalistico che, pur non sedimentandosi in un rigido contesto stagionale, pare esaltare una “percezione istintuale” (honnōteki na kankaku 本能的な感覚) mai artificiosa e premeditata, coltivando, all’esatto opposto, una partecipazione emotiva (kokoro ni kaku 心にかく) diretta, subitanea.
I rimandi al pensiero Zen, con il quale l’autore ha avuto modo di entrare in contatto grazie alle attività del Tempio Shinnyoji di Firenze, sono ben evidenti, e sostanziano un tacito filo conduttore che percorre l’intero scritto, secondo uno schema libero ma non casuale che fa del momento presente l’ambientazione lirica privilegiata:
La calma notte
pulisce il silenzio:
Zazen di luna
In questa, come peraltro nella maggior parte delle opere, il sentire dell’autore, lungi dal cristallizzarsi irreversibilmente in volizioni poetiche appariscenti, fa sua l’esperienza estetica così come codificata da Shin’ichi Hisamatsu (1889-1980), impostando il proprio dire secondo quell’«accrescimento della semplicità» di cui parla Garr Reynolds nel suo Presentation Zen, e che incarna il kanso 簡素 (appunto, “semplicità”), una delle sette qualità poetiche insieme al fukinsei 不均整 (l’irregolarità), al kōko 考古 (l’essenziale), allo shizen 自然 (la naturalezza), allo yūgen 幽玄 (la visione profonda e insondabile), al datsuzoku 脱俗 (l’allontanamento dal mondano) e al seijaku 静寂 (la tranquillità).
Da un punto di vista stilistico, gli scritti aderiscono quasi sempre al modello “tradizionale” 5-7-5 (con predilezione per un conteggio sillabico di tipo ortografico), salvo rare eccezioni in cui la forma espressiva (sugata 姿) ha necessità di “respirare”, allentando i margini di un linguaggio comunque sempre fedele al proprio vissuto:
Se mangio…
il melograno, i chicchi
fine estate…
Degno di rilievo è il gioco di variazioni cromatiche che puntella la raccolta nella sua interezza e che pare voler rafforzare il lessico poetico mediante una simbologia attenta e precisa. Così, il “vento rosso di Kamakura” pare perdersi, senza tuttavia mai confondersi, con il rosso delle foglie d’acero (momiji 紅葉) o delle bacche adocchiate dal gatto, rinsaldando un principio di forza e, al contempo, di caducità che ben si colloca in contrasto con il candore della neve (yuki 雪), altro termine di rilievo nella storia dello haiku:
Soffia bianco
un sogno indicibile
notte di neve.
Delle sette qualità poetiche sopra menzionate, tuttavia, quella che risalta con maggior nitore già ad una prima, rapida lettura, è lo yūgen 幽玄, cioè il creare con quel non-dire proprio dello haiku un riverbero senza fine, «un’eco inesprimibile a parole» (Hisamatsu) capace di evocare tutto e niente, suggerendo un’ipotesi di lettura che, anziché valorizzare il mero dato semantico o letterale, ne incoraggi una muta interpretazione:
La notte fonda:
un mare capovolto
tra pesci-grilli.
In estrema sintesi, Haiku italiani convince per quel senso di novità (atarashimi 新しい) che è stato in grado di portare nell’attuale panorama haiku italiano, coniugando con consapevolezza una visione Zen umile e sincera e un’attestazione di vigorosa presenza del dato reale, secondo una direzione che pare indirizzare il lettore ad un fueki ryūkō 不易流行 (“l’eterno e il contingente”) di storica memoria.