Una presentazione del libro La tradizione estetica giapponese. Sulla natura della bellezza di Laura Ricca, Carocci editore, 2016, pp. 192, Euro 21,00.
Laura Ricca, yamatologa e ricercatrice presso l’Università di Bologna, con il presente saggio intende avvicinare il lettore italiano ai principali canoni estetici della cultura e dell’arte giapponese, e lo fa coniugando rigore accademico ed immediatezza espositiva.
Delineando, dapprima, i caratteri di wa 和, uno dei quattro principi cardine della cerimonia del tè (insieme a kei 敬, “rispetto”, sei 清, “chiarezza” o “limpidezza”, e jaku 寂, “tranquillità”), e il cui senso è traducibile con “armonia” (in specie, quale derivazione di prosperità ed abbondanza), la Ricca imposta un’analisi sistematica ed onnicomprensiva di quei caratteri che impattano, in particolar modo, sullo sviluppo e sulla corretta comprensione dell’arte nipponica.
Tenendo sempre bene a mente le parole di Giangiorgio Pasqualotto, secondo cui il termine estetica, in Giappone, «va usato non per indicare qualche teoria di ‘bellezza’, ma per riferirsi ad un ambito di pratiche e di sensibilità caratterizzato dall’attività di metter in forma l’esperienza» (Yohaku, 2001), l’autrice accompagna il lettore in un cammino che, prendendo le mosse da un contesto prettamente speculativo, si distende ad abbracciare termini ed espressioni propri del mondo letterario e non come il fūryū 風流, il mono no aware 物の哀れ, il wabi 侘, il sabi 寂, lo shibui 渋い e lo yūgen 幽玄, sino ad approdare al capitolo conclusivo, dedicato al concetto di vuoto o kū 空.
Così, dopo aver disvelato quella “spontaneità naturale” che anima il ki 氣 (“lo spirito vitale”) e la necessità di metabolizzare un approccio sensibile non lineare e multidirezionale (zuihitsu 随筆), specie nello scandagliare le profonde interconnessioni tra uomo e natura (presupposto imprescindibile dell’arte nipponica), l’autrice ci introduce ad un’esperienza estetica prossima alla dimensione pratica dell’essere, dove «estetica ed etica sono legate in un percorso artistico che ha come obiettivo la compiutezza dello spirito» e dove alla proporzione e all’armonia occidentali fanno da contrappeso l’asimmetria e l’irregolarità.
Dei diversi principi estetici presenti nell’opera ho già avuto modo di parlare diffusamente in precedenti approfondimenti, e dunque lascio al lettore il piacere di integrare questi con la lucida disamina della Ricca.
Particolarmente apprezzata è, invece, la presenza di una specifica trattazione su una direttrice troppo spesso ignorata o non adeguatamente trattata come lo shibui. Traducibile come “aspro”, “acre”, ma anche “ruvido”, esso rappresenta una bellezza semplice e priva di ornamenti, ma per contro ricca di implicazioni e risvolti dall’elevato simbolismo spirituale, che permea le differenti forme artistiche giapponesi e, finanche, lo haiku, proponendo per quest’ultimo una lettura diretta, ridotta all’essenziale e, perciò, accessibile a chiunque.
Come anticipato, a concludere la trattazione è un capitolo dedicato al concetto di vuoto nell’arte nipponica, quel “punto di fuga”, come viene chiamato dalla stessa autrice, che incarna «l’unità estetica e segnica più importante e trasversale delle arti», divenendo, di fatto, condizione di possibilità e non di esclusione o, peggio, di negazione dei vari fenomeni. Così, nello shodō 書道, a rilevare con centralità nella creazione dell’opera non sono tanto le pennellate che originano i segni, quanto piuttosto il bianco del supporto, della carta o del rotolo, il quale rende possibile la configurazione del pensiero artistico. Ma, analogamente nello haiku, sebbene ogni sillaba rilevi come un simulacro intangibile nell’economia complessiva del costrutto, è quella dimensione vuota (yohaku 余白) propria del non-detto a determinare il peso specifico del sentimento poetico, un togliere senza mai sottrarre che fa di questa forma poetica una delle più nobili e complesse vie di realizzazione artistica e spirituale.
Un commento di Luca Cenisi che vale quanto e forse più del libro della Ricca. Documento importante per me che , seguendo il filone estetico della tradizione occidentale , ho già da tempo individuato nell’irregolarità e nell’asimmetria dell’estetica giapponese il sublime “statico e dinamico” della nostra estetica , diversamente dal “bello” che potrebbe configurarsi con il “karumi” giapponese. In tal senso è possibile pensare a un’unica estetica in cui si annodano i sentimenti universali dell”uomo.