月も見て我はこの世ぺかしく哉
tsuki mo mite ware wa kono yo wo kashiku kana
ho visto anch’io la luna –
ora posso salutare
questo mondo
Fukuda Chiyo-ni (1703-1775)
旅に病で 夢は枯野をかけ廻る
tabi ni yande yume wa kareno wo kake-meguru
ammalato in viaggio:
i sogni mi portano
nei campi desolati
Matsuo Bashō (1644-1694)
極楽と言うて舐る や茅のうち
gokuraku to iute neburu ya kaya no uchi
“Paradiso”,
mormoro dormendo
nel mio tugurio
Miura Chora (1729-1780)
行時は月にならびて水の友
yuku toki wa tsuki ni narabite mizu no tomo
al mio fianco,
mentre cammino, la luna –
compagno d’acqua
Mizuta Masahide (1657-1723)
水洟や鼻の先だけ暮れ残る
mizubana ya hana no saki dake kure nokoru
naso che cola –
solo sulla sua punta
resta il crepuscolo
Ryūnosuke Akutagawa (1892-1927)
Traduzioni in italiano a cura di Luca Cenisi
I jisei no ku 辞世の句 (“[hai]ku in punto di morte”) sono veri e propri haiku “di commiato”, scritti nella consapevole imminenza della propria morte.
Si registrano le prime forme di tale pratica compositiva a partire dal XVI secolo, con una particolare diffusione durante il periodo Meiji (1868-1912), ma esistono numerosi precedenti di lasciti poetici – in forma diversa dallo haiku, ad esempio waka 和歌 (o jisei no uta 辞世の歌 ) – registrati nel Kojiki 古事, nel Man’yōshū 万葉集 e nel Kokinwakashū 古今和歌集.
Immagine: Tomioka Eisen, 1896.