Recensione del libro Haiku e renga di Edda Bresciani e Franco Bonsignori, Edizioni ETS, 2016, pp. 20, Euro 5,00.
Haiku e renga è una prezioso e inedito esperimento letterario a quattro mani, edito dalle Edizioni ETS di Pisa, che propone 16 poesie haiku e 8 renga brevi o tan renga 短連歌 (ossia poesie “a catena”, frutto del contributo di due autori, redatte secondo lo schema metrico 5-7-5 7-7). La novità risiede appunto nel secondo gruppo di scritti, in quanto raramente presenti in pubblicazioni italiane al di fuori dei social network e dei blog specializzati, ma che gli autori hanno avuto indubbiamente modo di approfondire, dati i pregevoli esiti qui raccolti.
Le firme sono di Edda Bresciani, Professore Emerito di egittologia, nonché editor della rivista «Egitto e Vicino Oriente», e Franco Bonsignori, Professore di Filosofia del diritto. Due formazioni accademiche molto diverse tra loro, dunque, accomunate tuttavia da un profondo interesse nei confronti della poesia giapponese.
Gli haiku d’esordio sono proprio quelli della Bresciani, già membro dell’Associazione Italiana Haiku (AIH), che in questa sezione mantiene un registro espressivo chiaro ed accessibile, privo di eclatanze linguistiche, ed anzi volutamente non “levigato”.
«Non mostrare, ma suggerire, è questo il segreto dell’infinito», scriveva Okakura Kakuzō (1862-1913); e in questo la Bresciani non delude il lettore, fornendo una visione semplice e non preconcetta della realtà nella quale ciascuno di noi può rinvenire tracce della propria esperienza, secondo un percorso di “elevazione e ritorno” (kōgo-kizoku 高悟帰俗) profondamente umano, in cui emerge lo spirito del keijō itchi 景情一致 ossia l’“unificazione dell’ambiente e delle emozioni” del poeta.
Lo sguardo dell’autrice (e, conseguentemente, il nostro) non insiste su volizioni personali, né su figurazioni naturalistiche complesse, quanto piuttosto su pacate scene quotidiane ed esperienze sensibili che paiono inscriversi in una “quantistica del minimo” decisamente personale, quasi a voler riconfermare un principio di bellezza fragile (shiori しをり) ed elementare che non può essere adombrato dalla grossolanità (futoi 太い) del comune sentire:
Spazi di sabbia –
nera sopra la roccia
una formica
Anche il linguaggio poetico del Bonsignori non delude le aspettative, pur allontanandosi dal dire della Bresciani per tono ed estensione. A dominare la scena, negli otto haiku a sua firma, è infatti più un’estatica contemplazione dei misteri della natura che una consapevole compartecipazione. L’autore riproduce ogni scena poetica secondo un punto di sincerità (makoto 誠) che per molti versi si avvicina al sentire di un fanciullo:
Ma non è neve
quella che veste i rami.
Oh, meraviglia!
Qui, forse più che nella sezione d’esordio, sono evidenti le influenze di Kobayashi Issa (1763-1828), sia in termini di approccio all’interlocutore naturale che di processo di empatizzazione, contribuendo a rendere le pagine conclusive un chiaro esempio di partecipazione emotiva del poeta (kokoro ni kaku 心にかく) ai misteri del creato.
Ma la vera novità, come detto in apertura, risiede nella sezione mediana del libro, laddove i due autori si alternano nella stesura di otto componimenti in forma di tan renga; si tratta di un vero e proprio “passaggio di testimone”, nel quale tuttavia né la Bresciani né il Bonsignori hanno la pretesa di manipolare il dato reale ricevuto, limitandosi a rigirarlo tra le dita con accortezza e riguardo, quasi fosse un gioiello d’inestimabile valore che rischia di danneggiarsi se trattenuto a lungo.
In tutti gli scritti, il compito di comporre lo hokku 発句, ossia la stanza d’esordio, è affidato alla Bresciani, mentre quello di redigere il wakiku 脇句 (“strofa che corre vicino”) spetta al Bonsignori. Non vi è, in questa “suddivisione di compiti”, un’attività più o meno complessa; certo, elaborare uno hokku degno di nota non è cosa facile, tanto più che questo, oltre a fungere da ku 句 apripista, deve possedere una serie di requisiti formali e sostanziali quali la presenza di uno stacco (kire 切れ) in chiusura del primo o del secondo verso e di un solido riferimento stagionale (kigo 季語). Di più, lo hokku dev’essere concepito in modo tale da essere sufficientemente “aperto”, onde permettere al secondo autore di creare quel legame di continuità con la strofa conclusiva fondamentale per la tenuta complessiva della tan renga.
Ma anche elaborare un tanku 短句 finale efficace (capace cioè di sviluppare le suggestioni della strofa precedente lasciando che queste riverberino senza affievolirsi o richiudersi) non è cosa da poco. Tuttavia, il Bonsignori vi riesce, e lo fa con una spontaneità di dettato a tratti sorprendente.
Il risultato finale è uno scritto pulito, evocativo, profondamente vicino al sentire del lettore, quasi fosse stato prodotto dalla stessa mano:
Cessa il vento –
i petali sperano
di non cadere (eb)
Tienili con le mani
e sia gentile il gesto (fb)
In conclusione, Haiku e renga, pur essendo un’opera estremamente minuta (consta infatti di sole 20 pagine), presenta numerosi spunti di originalità, distinguendosi dal resto delle pubblicazioni in lingua italiana per freschezza e lucidità di espressione, sviluppando con coerenza e pertinenza quell’“esperienza condivisa” di cui parla Tadashi Ogawa nel suo A Short Study of Japanese Renga (2011); atmosfera dalla quale germina «un umore unico simile al vento» capace di trascinare il lettore attraverso ricostruzioni sempre nuove, che rivelano, quasi per intima necessità, un fascino “acerbo”, discreto ed essenziale (shibui 渋い) che pervade ogni cosa e che riverbera anche quando le parole si sono esaurite, lasciando il posto al silenzio:
Come un gabbiano
l’eco del pescatore
tra cielo e terra (eb)