Commento critico allo haiku di Eufemia Griffo, pubblicato sulla rivista Otata il 1° luglio 2018.
spring fog
the muffled cry
of a seagull
nebbia primaverile
il grido ovattato
di un gabbiano
L’autrice, con questo componimento – permeato da un evidente senso di levità (karumi 軽み) ma, al contempo, da un fascino solitario e melanconico (sabi 寂) – coniuga semplicità di dettato e profondità di sentire, elaborando per il tramite della propria esperienza un senso di indicibile che si pone quale paradigma interpretativo circolare e, tuttavia, “aperto”.
Così, la nebbia di primavera (harugasumi 春霞, kigo appartenente alla categoria “celeste” all’interno dei saijiki 歳時記), nell’avvolgere nel suo manto di silenzi ogni cosa, opera di fatto come reductio ad unum, annullando ogni differenziazione cromatica e sonora in favore di un’uniformità impenetrabile, voluminosa (futoi 太い) e, ad una prima lettura, opprimente.
A tale processo non si sottrae nemmeno il grido dei gabbiani (in giapponese, kamome 鴎). Privato della sua veemenza (o, meglio, del suo acume, hosomi 細身), viene tuttavia reso compartecipe, a conti fatti, di un quadro ricostruttivo più ampio, nel quale ogni fenomeno contribuisce, ciascuno per la sua parte, a tratteggiare una scena poetica organica, dominata da una sospensione che è allo stesso modo estetica ed estatica.
La nebbia qui presentata, dunque, non è elemento di sottrazione (o, meglio, di “negazione”), quanto piuttosto di unificazione, di reciproca compenetrazione nei misteri della vita, come già evidenziato da Ki no Tsurayuki (872-945):
みわ山をしかもかくすか春霞人にしられぬ 花やさくらむ
miwayama o/ shikamo kakusu ka/ harugasumi/ hito ni shirarenu/ hana ya sakuramu
Intendi velare
anche il monte Miwa,
o nebbia di primavera?
Fiori che nessuno conosce
di certo staranno sbocciando.
KKS II:94
Il contrasto tra il carattere acuto e sottile del verso del gabbiano e quello più ovattato e disteso della nebbia (paradigma, come visto, della contrapposizione tra i canoni dello hosomi e del futoi) viene ripreso anche a livello fonetico (nella versione originale in lingua inglese) dalla ripetizione dei suoni “g” (consonante secca, segno di durezza e “arresto”) e “f” (simbolo di sottigliezza, di movimento) all’interno del costrutto, rendendo quest’ultimo estremamente gradevole alla lettura.
Lo scritto, molto ben architettato da un punto di vista stilistico-formale – con lo stacco (kire 切れ) a cavallo dei vv. 1-2 chiaramente individuabile anche in assenza di una cesura segnica – s’inscrive in un dire poetico che ha ormai assunto una fisionomia ben precisa, un’identità matura e consapevole che trova conferma e sigillo nelle numerose apparizioni della Griffo all’interno di riviste specializzate non soltanto italiane.
Immagine: Utagawa Hiroshige, Nebbia primaverile a Nippori, 1839-1842 (part.)
2 risposte a “L’attesa del cielo”