Ciò che le foglie non dicono

Prefazione alla racolta 365 Haiku. Impermanenza e Eternità di Gaia Ortino Moreschini (Edizioni Helicon, 2014, pp. 392).

«La natura non è altro che una poesia enigmatica»
– Michel Eyquem de Montaigne, da Saggi (1571)

365 Haiku di Gaia Ortino Moreschini cattura subito l’attenzione del lettore per quel delicato approccio al dato naturalistico che caratterizza l’opera nel suo complesso. È come se la realtà ripiegasse su se stessa, mutando forma ma non contenuto, mentre l’osservatore inesorabilmente si confronta con l’esperienza fàtica del vivere, in uno slancio di consapevolezza che è al contempo attestazione di libertà e confessione d’impotenza.
Gli scritti, fedeli al modello 5-7-5 (per lettura ortografica o metrica) e ad un’imprescindibile aggancio stagionale, danno quasi l’impressione di oscillare tra gli estremi di una raffigurazione del vero e di una più sottile ricostruzione poetica, senza per questo perdere quella dote di spontaneità e naturalezza che rende viva ed efficace l’esperienza haiku.
Il lessico semplice e non artefatto, la sobrietà delle immagini proposte e la delicatezza (shiori しをり) con cui tali immagini si alternano tracciando un cerchio sempre più ampio, concorrono – in ultima istanza – a definire un linguaggio decisamente autentico e credibile.
Lo stacco (kire 切れ) tra emistichi non trova rappresentazione in segni d’interpunzione (com’è uso frequente in Italia e, più in generale, in Occidente), bensì nella lettura complessiva dell’opera, che procede attraverso picchi più o meno marcati di enfasi esperienziale, rivelando così una toriawase 取り合わせ (“combinazione”) puntuale e mai banale, come nello haiku che segue:

calpesti zolle
la primavera geme
su campi secchi

L’oggetto del dire poetico non si arresta mai ad una visione approssimativa (futoi 太い) del mondo, ma tende a scandagliare ogni più piccolo aspetto del reale, manifestando una capacità di “lasciarsi attraversare dalle cose” (mono no aware 物の哀れ) tangibile e condivisa. Così, esperienze naturalistiche d’indubbio valore estetico e sentimentale – come lo scroscio di una cascata o lo sbocciare delle prime rose in marzo – si alternano a visioni poetiche elementari, apparentemente dimesse, eppure ugualmente forti, come le mosche che si uniscono in sciame o il torrente prosciugato dal sole d’estate.
Ma l’elemento che, forse più di ogni altro, distingue l’opera della Moreschini dalle altre, è quella “visione innocente” che, libera da pregiudizi, anela a riformare un legame sincero tra uomo e natura e dove ogni differenza è ricondotta a unità mediante l’esperienza estetica del fūryū 風流, di quel “soffio universale” che informa di sé ogni cosa:

cade una foglia
cede con lei la terra
continuando

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