Commento critico allo haiku di Francesco Palladino, pubblicato sul sito www.ilpalladino.it.
蝉岩の上に一滴一滴
semi iwa no ue ni itteki-ittekicicala
goccia a goccia sulla roccia
Questo componimento di Francesco Palladino si distanzia dalla metrica “classica” dello haiku (teikei 定型) per favorire uno sviluppo poetico che è espressione diretta (sugata 姿) del presente vissuto dall’autore, laddove il linguaggio, posto di fronte all’inesprimibile, arrocca su se stesso, arretrando secondo le guide di un allineamento al quotidiano che, per necessità, aderisce a una dimensione vuota (yohaku 余白) prossima al silenzio.
Il costrutto è così ridotto all’essenziale, a sole dodici sillabe, con lo stacco (kire 切れ) ben identificabile e, soprattutto, capace di unire efficacemente i due momenti attraverso un legame che è, al contempo, di continuità e rottura. Continuità, in quanto le due figure (la cicala e la roccia) trovano unificazione nel canto intermittente della prima e nella resa onomatopeica (itteki-itteki 一滴一滴) degli eventi; rottura, poiché la morbidezza della piccola creatura e la sottigliezza (hosomi 細身) della sua voce, che qui produce – o rimanda per associazione a – uno stillicidio leggero e malinconico, si scontra con la durezza e lo “spessore” (futoi 太い) della pietra, senza produrre quella compenetrazione registrata secoli prima da Bashō:
閑けさや岩にしみいる蝉の声
shizukesa ya iwa ni shimiiru semi no koe
tranquillità –
il canto della cicala
entra nelle pietre
Proprio l’essenzialità del costrutto e il suo lessico asciutto ed oscuro (derivazione dello yūgen 幽玄) rendono possibile una pluralità di letture dell’opera. Le gocce possono, così, essere lette come una figurazione del canto interrotto della cicala o come rimando ad una presenza reale di pioggia (ame 雨), esponendo il testo a quel processo di completamento da parte dello spettatore che è la cifra più significativa dello haiku.
La sensazione di durezza che deriva dalla rifrazione delle gocce contro la superficie liscia della pietra viene enfatizzata dall’allitterazione della consonante secca “c” che, legata alla morbidezza della “l” in “cicala” e “della”, rende anche musicalmente quella frattura tra immagini cui abbiamo fatto cenno in precedenza.
Lo scritto rappresenta dunque un ottimo esempio di unificazione tra ambiente ed emozioni (keijō itchi 景情一致), laddove il lavoro di immedesimazione del poeta non viene asservito alla struttura del testo (tsuzukegara 続けがら), ma trova in questa un alleato, il quale si piega alle necessità come un giunco nel vento, senza spezzarsi, imperturbabile anche di fronte a critiche puriste, secondo un dire per certi versi assimilabile a quello di Ogiwara Seisensui (1884-1976) e dei suoi jiyūritsu haiku 自由律俳句 (“haiku a ritmo libero”).
Immagine: Utagawa Hiroshige, Cicala sopra un tronco d’albero, XIX secolo
Caro Luca, quello che mi piace di te è l’equilibrio dello studioso che , quando scrive , ha chiara consapevolezza delle mille sfumture che si celano dietro il significato di una parola. Per quanto in HC abbia avuto la soddisfazione più volte di entrare tra i migliori tre haiku settimanali (15 per l’esattezza)- per non citare le belle pubblicazioni illustrate da Eufemia Griffo nel suo blog – ogni tuo commento sui classici o sugli autori nuovi è per me sempre un prezioso spunto di riflessione sulla forma, sulla tecnica e sull’essenza di un vero haiku. Non pubblico mai, senza una verifica preliminare alla luce dei tuoi esempi. L’averti ritrovato fuori da AIH , unico amministratore di te stesso, è per me un riferimento di capitale importanza per il proseguimento del mio viaggio nello haiku, nella poesia e nel sentimento. In alternativa, mi resterebbe la strada arida e fredda della speculazione filosofica o quella dogmatica e cieca della coscienza morale e della fede . Grazie per il prezioso regalo che oggi fai dopo la pubblicazione in AIH, qualche anno fa, di altri miei otto haiku.