La memoria dei rami

Commento critico allo haiku di Stefania Ferregutti, pubblicato sulla pagina Facebook del Gruppo di studio sullo haiku il 21 settembre 2018.

Foglie ingiallite –
il nome in stampatello
su vecchi diari

Quest’opera della Ferregutti si caratterizza per un profondo senso di malinconia legato allo scorrere inesorabile del tempo (sabi 寂), laddove la solitudine dell’autore non assume, tuttavia, una connotazione negativa, quanto piuttosto un’occasione per lo sviluppo di una consapevolezza poetica capace di coniugare il proprio sentire e le trasformazioni della natura, esaltandone la componente sentimentale (shibo 思慕), pur senza creare una scollatura tra la scena e il protagonista e, dunque, senza mai appesantire la dote immaginifica dello scritto con forme individualistiche.
Così, le foglie ingiallite – simbolo evidente di un autunno appena iniziato – si giustappongono alla riscoperta di un passato più o meno lontano, nel quale l’autrice, allora probabilmente bambina, muoveva i primi passi nell’affermazione del sé in questo mondo, scrivendo il proprio nome a lettere maiuscole (la prima, più immediata e riconoscibile forma espressiva); proprio nel recupero di quei vecchi diari risiede il pregio associativo, nel gesto non registrato (ma affidato all’immaginazione del lettore) dell’apertura di un baule o di una scatola: l’autrice realizza d’un tratto la fragilità umana, l’inarrestabile invecchiamento dell’uomo che un tempo era foglia verdeggiante e ora esposto, come la chioma di quell’albero, all’arbitrio di un vento che soffia per tutti i viventi.
Da un punto di vista strutturale, lo haiku in esame segue un conteggio sillabico di tipo metrico (con un’ipermetria al terzo verso che non pregiudica la bontà dell’opera), ed un chiaro riferimento stagionale (kigo 季語) nel rigo d’esordio. Lo stacco (kire 切れ) è reso graficamente mediante ricorso alla lineetta (“–”), com’è ormai consuetudine occidentale.
L’allitterazione del suono “i” contribuisce a dare chiarezza, ma anche profondità, alla scena rappresentata, resa ancor più “morbida” e musicalmente gradevole dall’accostamento con la consonante “l”.
Il confronto dell’autrice con la realtà e, dunque, con gli anni ormai passati, viene invece enfatizzato, nel verso conclusivo, dalla presenza del suono “c”, duro e contrastato, con ciò rimarcando l’ottimo lavoro compositivo svolto dalla Ferregutti.
In sintesi, lo scritto qui presentato coniuga pregevolmente levità (karumi 軽み) e fragilità (shiori しをり), annullando ogni distanza personale tra autore e lettore e suggerendo un cammino comune di consapevolezza che non significa rassegnazione, ma attiva partecipazione alle vicende del mondo, pur nell’inevitabile caducità dell’esistenza umana:

月草に衣はすらむあさつゆにぬれてののちはうつろひぬとも
tsukikusa ni koromo wa suramu asatsuyu ni nurete no nochi wa utsuroinu tomo

Con erba lunare
tingerò la mia veste;
non m’importa se all’alba,
bagnato dalla rugiada,
il colore svanirà.

KKS IV:247¹

Immagine: Suzuki Harunobu, Bruciando le foglie d’autunno, 1765

Note:
¹ Da I. Sagiyama (a cura di), Kokin Waka shū. Raccolta di poesie giapponesi antiche e moderne, Ed. Ariele, 2000, p. 191.

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