La ripetizione, in poesia, consiste nella reiterazione di una data parola od espressione (anche con minime variazioni, sia formali che sintattiche) all’interno del componimento. In genere, scopo della ripetizione è quello di enfatizzare una data immagine o produrre una sensazione di sorpresa e meraviglia nell’animo del lettore, che vi attribuirà dunque un dato significato a seconda del proprio sentire e della propria interpretazione del testo.
Sebbene lo haiku sia una forma poetica estremamente breve, in quanto composta da sole 17 sillabe (rectius, on 音), non è raro imbattersi in opere – sia di maestri antichi che di autori contemporanei – che adottano tale figura retorica (in giapponese, kurikaeshi 繰り返し) per le ragioni sopra menzionate.
Lo haiku non è, tuttavia, mera “economia di parole”, quanto piuttosto naturale riordino di un modo di essere con il mondo che nello spazio di quei tre momenti trova la sua fisiologia espressione. In questa manciata di sillabe, cioè, «non si rivela semplicemente un limitato mondo in miniatura […], ma si attiva anche un modo diverso di vedere le cose e gli eventi del mondo e della vita»¹; e questo modo può essere veicolato tramite diversi espedienti, ivi compresa la reiterazione consapevole di certi termini od espressioni, in quanto ritenuta la forma migliore per restituire allo spettatore una data suggestione.
Di seguito riporto tre esempi di haiku di altrettanti poeti storicizzati che hanno fatto ricorso al kurikaeshi:
はつ雪やもの書けば消え書けば消え
hatsu yuki ya mono kakeba kie kakeba kie
la prima neve –
se scrivo qualcosa, svanisce…
se scrivo, svanisce…
Fukuda Chiyo-ni (1703-1775)
大根引大根で道を教へけり
daiko hiki daiko de michi wo oshie keri
estrae una rapa
e con la rapa mi indica
la strada
Kobayashi Issa (1763-1828)
山又山山桜又山桜
yama mata yama yamazakura mata yamazakura
monti su monti,
ciliegi di montagna
su ciliegi di montagna…
Awano Seiho (1899-1992)
Note:
¹ Y. Bonnefoy, Sull’haiku, O barra O edizioni, 2015, p. 10.