Lettura di uno haiku di Stefano D’Andrea, pubblicato su Chrysanthemum n. 25 del mese di aprile 2019.
la nebbia scorre sugli occhi addormentati dell’agnellino
Questo haiku di Stefano D’Andrea – presentato ai lettori su un unico rigo di composizione (ma con i tre “momenti” chiaramente riconoscibili) e senza stacco (kire 切れ) – convince su diversi fronti, grazie ad un’accurata scelta lessicale e ad un linguaggio semplice ed essenziale che riesce ad esaltare un contrasto tra elementi che opera su più livelli.
Abbiamo così una sovrapposizione tra il movimento (ugoki 動き) lento ma progressivo della nebbia e la placida immobilità (seijaku 静寂) dell’agnello, i cui occhi paiono essere sul punto di chiudersi, assottigliandosi e contrapponendosi dunque all’indefinita estensione del paesaggio avvolto dalla caligine.
La figurazione complessiva pare evocare un tenore classico decisamente familiare, e in specie il seguente scritto di Konishi Raizan (1654-1716), poeta di grande talento già allievo di Nishiyama Sōin (1605-1682):
春雨や降るともしらず牛の目に
harusame ya furu to mo shirazu ushi no me ni
pioggia di primavera –
anche negli occhi ignari
del bestiame
Tuttavia, mentre quest’ultimo viene edificato sulla scorta della direttrice estetica dello hosomi 細身 (‘sottigliezza’) e di una bellezza semplice ma rigogliosa, il componimento del D’Andrea s’apre ad una ruvidità scenica (kōko 考古) che anticipa una dimensione ancor più profonda, rinforzando un principio di yūgen 幽玄 (‘profondità e mistero’) che resta sospeso – quasi in placida attesa – grazie alla naturale propensione dello scritto ad indirizzare il sentimento del lettore verso l’origine e l’epilogo del parlato (zengo 前後).
Sebbene questo haiku presenti, dunque, una chiara (e voluta) linearità espressiva, va nondimeno evidenziata la scelta accorta dei termini che lo compongono, frutto di una valutazione non solo semantica ma fonetica: in tal senso, si noti il passaggio dall’allitterazione del suono “s” (indice di fluidità e movimento) nella prima parte alla “morbidezza” della consonante “l” in chiusura, passando per i fonemi centrali “d” e “t” che contribuiscono, ciascuno per la propria parte, ad enfatizzare il senso di stanchezza percepito dall’animale. Il raddoppiamento di tali elementi (“ss”, “rr”, “cc”, “dd” e, infine, “ll”), peraltro, esalta la progressione ritmica di cui sopra, quasi a voler definire per timbrica la direzione di un evento atmosferico (la nebbia o kiri 霧) che inesorabilmente trascina con sé le suggestioni dello spettatore.
La sensazione che si ha di fronte a questo rigo è simile a quella che si può provare al cospetto di un sumi-e 墨絵: dopo la prima focalizzazione del segno, si viene attratti da vuoto che lo abbraccia e lo circonda, scoprendo d’un tratto che il gesto espresso è ben poca cosa rispetto alle infinite variazioni che il silenzio conserva.
Immagine: Utagawa Kuniyoshi, Veduta del Monte Asama dal Passo di Usui (1850 circa)
Molto bello questo haiku e il relativo commento è come sempre interessante . Il mio yugen svelato di questo scritto vede gli ultimi istanti di vita dell’agnellino (visto anche il periodo pasquale) e l’annebbiamento della vista per la progressiva e inesorabile mancanza di forze.
Grazie, Ezio, per la tua interessante interpretazione dello yugen. E’ una visione “simbolico-intellettuale” pienamente legittima, tanto è vero che anch’io l’ho accarezzata, rileggendolo molti anni dopo averlo scritto; ma non fu quella originale, puramente e serenamente contemplativa. Ma è cosa nota che la primigenia intenzione autoriale non basta (quasi) mai ad esaurire il significato dell’opera.