Q: Caro Luca, quale legame esiste tra stagionalità e poetica nella tanka?
R: La poesia (waka和歌) non solo come mezzo di espressione dell’emotività individuale, ma anche come “professione”, si è sviluppata a partire dalla metà del VII secolo, coinvolgendo membri della famiglia imperiale e personalità di spicco di Corte. Le tematiche principali erano l’amore e la natura, anche se questa, specie all’inizio, era una sorta di “proiezione” dei sentimenti del poeta o un mezzo di mediazione tra spinte emotive contrastanti. Mentre nel Man’yōshū 万葉集 (VIII secolo) possiamo notare una netta prevalenza di poesie amorose rispetto a quelle legate alla natura e al ciclo stagionale, le cose cambiano visibilmente a far data dalla pubblicazione del Kokin waka shū 古今和歌集 (X secolo), sviluppando una sensibilità estetica in linea con i canoni del kachōfūgetsu 花鳥風月 (la natura in senso ampio, nelle sue ciclicità stagionali; letteralmente, ‘fiori, uccelli, vento e luna’). Come evidenziato da Katō Shūichi nella sua Letteratura giapponese, infatti, proprio a partire dal Kokinshū «il verbo kou (amare) è […] sostituito dal verbo intransitivo monoomou (contemplare le cose), che sottolinea il ripiegarsi del poeta su se stesso»(1) e, dunque, il graduale spostamento del “fuoco” dall’individuo in sé ad una visione più ampia ed onnicomprensiva, consolidando di fatto le basi per lo sviluppo successivo dello haiku.
Nel 1197, Fujiwara no Shunzei (1114-1204) asserì, peraltro, che «la poesia deve essere pervasa da en 艶, elegante bellezza, e da aware, l’emozione per le cose di questo mondo»(2), mentre a Fujiwara no Teika (1162-1241), suo figlio, dobbiamo un preciso lavoro di codificazione e associazione tra specie di piante e animali e fasi stagionali (ad esempio, i glicini e le allodole associate al terzo mese lunare).
Il riferimento stagionale fungeva anche da ‘saluto’, svolgendo un’ulteriore funzione sociale, ed era dunque di regola presente nella stanza d’apertura, ossia il kami no ku 上の句 e, in seguito, all’interno dello hokku 発句 (la strofa d’esordio) della poesia a catena o renga 連歌 (generalmente nel primo o nel terzo rigo).
La tanka 短歌 (‘poesia breve’) ha subito, come tutte le forme letterarie, un’evoluzione nel tempo e oggi viene spesso composta secondo canoni meno “restrittivi” e rigidi, soprattutto dai poeti occidentali, che non di rado mancano di inserirvi un riferimento stagionale. Di seguito propongo una piccola selezione di opere scritte secondo tecniche compositive differenti:
Aperte delicatamente
le imposte dell’anticamera,
mi chiese:
come sono le notti d’autunno,
lunghe o brevi?
Yosano Akiko (1878-1942)(3)
tazze io compro
perché tazze abbiamo rotto
urtandoci a vicenda
come privati del desiderio
di essere come loro – impilate
Jane Reichhold (1937-2016)(4)
una certa tristezza
mi pervade
guardando il distacco
con cui questa donna
dorme con me stanotte
Saitō Mokichi (1882-1953)(5)
sono forse
come una piccola nube
che attraversa
questo cielo
e svanisce?
Dimitar Anakiev(6)
Note:
(1) K. Shūichi, Letteratura giapponese. Disegno storico, Marsilio Editori, 2000, p. 69.
(2) A. Tollini (a cura di), La concezione poetica di Fujiwara no Teika, Cafoscarina, 2006, p. 21.
(3) L. Capponcelli (a cura di), Midaregami, Aracne editrice, 2017, p. 123.
(4) J. Reichhold, W. Reichhold, In the Presence, AHA Books, 1998, p. 50. Traduzione in italiano di Luca Cenisi.
(5) S. Mokichi, Shakko, Iwanami Bunko, 1913, p. 45. Traduzione in italiano di Luca Cenisi.
(6) D. Anakiev, Spontaneous Mind. 55 Tanka Poems from Boulder, Colorado, Kamesan Books, 2013, p. 41. Traduzione in italiano di Luca Cenisi.