L’endiadi

Q: Buongiorno, Luca. Volevo chiederle se è possibile ricorrere all’endiadi nella composizione di uno haiku e a quali condizioni.

R: L’endiadi (dal greco ἓν διὰ δυοῖνè, ossia “una cosa attraverso due”) è una figura retorica che consiste nell’espressione di un unico concetto mediante ricorso a due termini (generalmente sostantivi) coordinati ma che, di regola, si relazionerebbero grammaticalmente secondo un rapporto di subordinazione del tipo sostantivo/aggettivo o sostantivo/complemento (“nella sabbia e nell’arsura” anziché “nella sabbia ardente”). Nella letteratura italiana e, segnatamente, in poesia, gli esempi sono molteplici (ne hanno fatto ampio ricorso Dante Alighieri, Francesco Petrarca e Giacomo Leopardi, solo per citare alcuni autori); resta, dunque, da comprendere il ruolo che tale espediente possa avere nel processo compositivo di uno haiku. Ad avviso di chi scrive, l’uso dell’endiadi – esattamente come per altri artifici del discorso – è da limitare a casi sporadici e del tutto eccezionali, onde evitare di violare quel principio di economia ed esattezza che deve guidare il poeta nella scelta dei termini e delle espressioni che meglio possono veicolare le suggestioni legate al contesto particolare. Se è, infatti, vero che la brevità dello haiku è sì formale, ma dettata da ben più profonde esigenze di significato, ecco dunque che un lezioso prolungamento del discorso – sia esso fatto per ragioni stilistiche o strutturali (ad esempio, per far aderire l’opera allo schema metrico 5-7-5) – non può che produrre nocumento allo spirito adescrittivo dello haiku stesso e a quel senso di inesplicabile e indicibile (emoiwazu えも言はず) che lo caratterizza. D’altronde, scopo precipuo dell’endiadi è quello di dare il più ampio risalto possibile a una data immagine, cosa che può essere benissimo ottenuta grazie ad un accorto utilizzo della giustapposizione (toriawase 取り合わせ) e dello stacco (kire 切れ). Tali considerazioni valgono, inoltre, a fortiori nei casi in cui l’endiadi si sostanzi nella presentazione di coppie dittologiche o sinonimiche (“chiaro e tondo”, “candido e bianco”). Ferma, cioè, restando la piena discrezionalità del poeta nello scegliere gli strumenti più adatti a rendere al lettore una determinata suggestione, va da sé che il testo di uno haiku dev’essere quanto più asciutto, conciso ed immediato possibile; ogni parola all’interno dei tre versi dev’essere attentamente ponderata, onde capire se essa appartenga o meno a quel preciso contesto poetico o se, al contrario, debba essere estromessa in favore di altre soluzioni, più pertinenti.

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