Lettura di uno haiku di Gabriella De Masi, pubblicato all’interno del Gruppo di Studio sullo Haiku il 16 dicembre 2021.
strada facendo
perdo la mia ombra-
nubi d’autunno
Un componimento dalle dinamiche semplici ma decisamente non scontate, sorretto da un’impostazione metrica di tipo classico (17 sillabe ortografiche, disposte secondo lo schema 5-7-5). Lo stacco a cavallo dei vv. 2-3 rivela un nesso causale comprensibile solo a posteriori, contribuendo a caricare di significato e suggestioni il distico d’apertura. La rappresentazione segnica del suddetto stacco è il trattino semplice (-), legato alla parola ‘ombra’ quasi fosse un accenno di riverbero destinato a svanire con la parola o, meglio, una residua estensione dell’ombra stessa; la sua semantica s’iscrive entro il tracciato di un contesto armonizzante (torihayashi とりはやし) garbato e, tuttavia, pervicace, dando compiutezza alle quattro qualità fondamentali del kire 切れ così come teorizzate da Ryōsuke Ōhashi (la formazione dell’assenza di forma, la temporalità, il sentimento e la leggerezza priva di scopo).
Il contesto stagionale di riferimento trova esplicitazione nel rigo finale. Al senso di apertura e distensione che evocherebbe un cielo limpido, si contrappone qui un’esplicita ma garbata sensazione di gravezza, enfatizzata dall’allitterazione della vocale ‘u’ e rinforzata, per quota parte, dalla nasale ‘n’, che ne prolunga contestualmente il portato immaginifico.
Da notare, sempre a livello fonetico, la ripetizione del suono ‘d’ nella prima parte del ku 句 d’esordio (strada facendo/ perdo), che scandisce con fare incalzante la progressione – al contempo fisica ed intimistica – della protagonista, rimarcando i passi di quest’ultima in guisa d’eco. L’estensione (futoi 太い) dell’ombra – pur destinata ad un inevitabile occultamento – trova infine (auto)definizione nella φωνή della ‘o’, la quale dona ariosità e misura ai primi due versi, legandosi, per analogia funzionale, alla medesima vocale in ‘autunno’.
Il passaggio da un’illuminazione diretta a una diffusa – capace, cioè, di rimuovere le ombre dallo spettro visibile – è lento e graduale; il lettore, nel pur breve tempo concessogli dalla cronologia poetica, riesce dunque ad immedesimarsi nel contesto rappresentato e a condividere quel senso di solitudine melanconica (wabi 侘) che pare accompagnare la poetessa.
Lo haiku in esame, lungi dal voler incarnare un’entità noumenica o una rappresentazione astratta di cose ed eventi, riesce invero a radicarsi in maniera profondamente convincente nell’esperienza quotidiana, imponendo il centro dell’attenzione nella familiarità del singolo accadimento.
L’ombra (kage 影) rappresenta, nella letteratura junghiana, quella componente della personalità inconscia di segno negativo che l’io cosciente tende a disconoscere. La ‘perdita’ di cui parla l’autrice non pare, tuttavia, esprimere un reale abbandono, quanto una presa di consapevolezza della sua esistenza e trasformabilità; l’ombra può infatti celarsi alla vista quando la sorgente luminosa viene a mancare, ma il suo essere in potenza non subisce variazioni.
Peraltro, le nubi (kumo 雲) che caratterizzano la stagione autunnale, diversamente da quelle proprie delle stagioni calde, sono piane, estese e stratiformi. Alla luce di questo dato meteorologico è, dunque, possibile ipotizzare una certa latenza nell’atto trasformativo; il cambiamento che coinvolge l’essere della protagonista in questo preciso momento della propria esistenza (la strada o michi 道 del v. 1) può essere lento e persistente, ma è inesorabilmente destinato a subire a sua volta future evoluzioni, facendo riaffiorare quelle ombre che, candidamente, si credevano perdute.
Uno haiku che si caratterizza, ad ultimum, per una dialettica col dato naturalistico discreta ed essenziale (shibui 渋い), veicolo d’eccellenza per forme sotterranee di consapevolezza non altrimenti esplicitabili, in armonia con le coordinate estetiche dello yūgen 幽玄.
Immagine: Takeuchi Keishū, Donna in un giardino (1900 circa)
Bellissimo